L’epoca “moderna” è l’epoca caratterizzata dalla filosofia della soggettività. Anche il termine “soggetto”, nell’accezione oggi corrente, è invenzione moderna, così come, peraltro, lo è lo stesso termine “moderno”. La filosofia della soggettività trova la sua espressione paradigmatica nel principio del cogito (“io penso”) come fondamento di conoscenza e di sapere certo, chiaro e distinto.
Ma anche il sapere scientifico empirico, in quanto basato – modernamente – sull’esperimento è un’espressione di questo soggettivismo. È chiaro infatti che il “soggetto” va inteso non sostanzialisticamente, bensì funzionalmente: l’iterabilità dell’esperimento implica la fungibilità del soggetto che lo conduce.
Il paradosso è, dunque, che la filosofia dell’ “io penso” diviene la filosofia del soggetto impersonale, scientifico, fungibile, uni-versale, uni-voco, anzi, propriamente afono.
La teologia filosofica risente profondamente di queste trasformazioni, e in particolare della tendenza all’univocazione. Proprio per questo in età moderna la teologia filosofica è entrata in crisi.
La critica heideggeriana all’ontoteologia è oggi moneta corrente; ma non va dimenticato che la prima critica dell’ontoteologia – e la prima utilizzazione dello stesso termine “ontoteologia” – è di Kant: con tale termine egli indica quell’ “argomento ontologico” per la dimostrazione dell’esistenza di Dio che nell’età moderna ha rappresentato l’acme della tendenza all’univocazione.
Una radicalizzazione della filosofia della soggettività che osi il passaggio dal cogito al loquor consente o, meglio, esige, un nuovo e rinnovato pensare analogico. Siffatta radicalizzazione richiede di pensare filosoficamente (a) Dio nello stesso momento in cui richiede di pensare (al)l’intersoggettività, aspirazione insoddisfatta della filosofia moderna.
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Marco Olivetti